28 Marzo 2024

Declino Cognitivo Soggettivo come fattore di rischio

Alcune persone, specialmente nella popolazione più anziana, sperimentano difficoltà cognitive che non vengono confermate dai test psicometrici, aumentando lo stato di ansia ed angoscia ad esse associate. Di cosa si tratta? Stiamo parlando del cosiddetto Declino Cognitivo Soggettivo che rappresenta uno dei fattori di rischio per la demenza.

Il declino cognitivo soggettivo (SCD) si riferisce ad una perdita capacità cognitive percepita dagli individui rispetto al loro precedente livello di prestazione, in assenza di deficit neuropsicologici rilevati dai test standardizzati (2). Sebbene sia associato ad altre condizioni, tra cui forme di demenza non AD, disturbi psichiatrici, effetti di farmaci o sostanze e persino il normale invecchiamento (2), Reisberg nel 1986 (3) teorizzò che il deterioramento cognitivo soggettivo precedesse il deterioramento cognitivo lieve (MCI) e ipotizzò che questo stadio avrebbe presagito l’emergenza dei sintomi dell’MCI di circa 15 anni (1).

Il declino cognitivo soggettivo è stato molto discusso in letteratura; negli anni vari termini sono stati utilizzati per caratterizzarlo (1), come disturbi cognitivi (soggettivi), disturbi della memoria (soggettivi), preoccupazioni sulla memoria (soggettiva), deterioramento soggettivo della memoria, deterioramento cognitivo soggettivo, perdita di memoria soggettiva, deterioramento soggettivo della memoria fino ad arrivare all’attuale declino cognitivo soggettivo di cui sono stati definiti i criteri di classificazione (2):

Criteri di inclusione

▪ Declino persistente auto-esperito della capacità cognitiva rispetto a uno stato precedentemente normale e non correlato a un evento acuto.

▪ Prestazioni normali corrette per età, sesso e livello di istruzione nei test cognitivi standardizzati utilizzati per classificare MCI o AD prodromico.

Criteri di esclusione 

▪ Compromissione cognitiva lieve, AD prodromico o demenza.

▪ La condizione può essere spiegata da un disturbo psichiatrico o da una malattia neurologica (a parte l’AD), da un disturbo medico, da farmaci o dall’uso di sostanze.

La classificazione del declino cognitivo soggettivo, dunque, si basa in gran parte sull’interpretazione dei dati soggettivi riportati nel contesto del normale funzionamento neuropsicologico e delle attività della vita quotidiana. Sembra che gli individui con SCD e MCI abbiano punteggi simili in queste misure, differenziandosi invece in modo significativo dagli anziani sani. Si ritiene che le percezioni auto-riportate abbiano un potere predittivo maggiore rispetto all’esito dei test cognitivi (4); questo potrebbe essere spiegato dal fatto che i test neuropsicologici valutano la prestazione in un singolo momento nel tempo, mentre il declino soggettivo cattura il cambiamento longitudinale (5). Inoltre, la capacità di rilevare la compromissione con test neuropsicologici è migliore ad alti livelli di compromissione, ma diminuisce quando ci si avvicina al range di capacità normale. Le difficoltà cognitive lievi sono più difficili da distinguere dalle abilità normali a causa di problemi di sensibilità del test e di adeguatezza dei set di dati normativi per le popolazioni di adulti più anziani (2,4;6;7). Uno studio (8) che ha esaminato le prestazioni nell’Iowa Gambling Task (test psicologico basato sul gioco d’azzardo che valuta la capacità decisionale in situazioni di vita reale) ha mostrato come i gruppi con SCD e quelli clinicamente normali non differivano nel test sulla base del punteggio clinico standardizzato, ma analisi statistiche sulle risposte hanno indicato che i soggetti con SCD nel prendere decisioni non tenevano conto  dei risultati precedenti, il che suggerisce o difficoltà di memoria di lavoro o un decadimento delle informazioni da un processo decisionale all’altro. Infine, ci sono dati che mostrano cambiamenti anche dal punto di vista neurale; in particolare, le persone con declino cognitivo soggettivo mostrano una ridotta densità della materia grigia simile a quelli con MCI nelle aree temporale mediale bilaterale, frontotemporale e in altre aree neocorticali; l’indice di disturbo cognitivo stesso era inversamente correlato alla densità della materia grigia in tali regioni (9).  Alla luce di questi dati riteniamo sia importante valutare la percezione soggettiva dei pazienti sulle proprie capacità cognitive al fine di poter intervenire quanto più possibile per rallentare l’eventuale insorgenza di un decadimento cognitivo.

Referenze

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